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Alla fine di questo anno, più di ogni altro, è d’obbligo un bilancio e un tentativo di riflessione. Un periodo per me non più difficile di altri nella mia vita, ma che ha innegabilmente segnato un varco, una linea di confine che ci ha portato a sperimentare cose che non avevamo ancora incontrato prima d’ora, noi figli del boom economico del dopo-guerra.

E non parlo dei morti, dei nostri anziani falciati senza possibilità di commiato e consolazione, dell’inevitabile sussurrante sensazione di poter essere chiamati all’appello anzitempo (un pensiero che nel comune svolgersi della vita non dovrebbe essere presente). Non parlo della realtà ospedaliera, che per la prima volta è stata avvertita come luogo di fantascientifica reclusione, sede di terrore e pericolo di morte imminente, anziché rifugio in cui essere accolti per essere salvati. Non parlo neanche del baratro economico e finanziario che ha scudisciato all’improvviso molte persone, a volte senza possibilità di replica. Queste cose sono le più terribili cicatrici che questo anno lascerà a molti di noi, eppure se ci pensiamo bene queste sono situazioni che seppur terribili purtroppo nella vita possono capitare, a tutti, a turno.

Quello che invece è davvero nuovo e inedito nel nostro mondo, per come lo avevamo sperimentato fino a ieri, è lo sbarramento collettivo, lo stare in stand-by fermi immobili, il sospendere le normali attività (sotto i tanti, variegati e sfumati punti di vista che vanno a formare i vari aspetti della nostra vita) per scongiurare un contagio probabilmente devastante da brulichio incontrollato nel formicaio.

La cosa più dura da sopportare (e questo è stato un peso da cui nessuno ha potuto esimersi) è stato non poter più fare all’improvviso ciò che era abitudine e che si dava per scontato, diritto assodato delle nostre quotidianità. Ognuno la sua. Durissimo. Sia fisicamente che psicologicamente. Non poter allontanarsi da casa, andare a passegiare o ad allenarsi, non poter portare i cani a correre in campagna, non farsi il taglio di capelli o la ceretta per mesi, aspettare di poter mangiare una pizza al ristorante o non poter vedersi con gli amici prima di cena per l’aperitivo, non abbracciare chi ami se non abita con te, non poter svagarsi con lo shopping la domenica o andare a un concerto, al cinema, in piscina o in vacanza. Tutte cose non indispensabili alla sopravvivenza, certo, ma che si sono rivelate la cartina tornasole del nostro benessere. Questo anno ci ha mostrato incontrovertibilmente che non solo la vita e la morte possono venire a danzarci molto vicino, ma che anche le piccole cose che fanno parte del nostro quotidiano non sono affatto così scontate come le abbiamo sempre considerate.

Da un anno così non si può che trarre un unico grande insegnamento: bisogna scuotersi dal torpore e vivere da svegli. E’ urgente scendere dal nastro trasportatore delle abitudini condivise. E’ importante personalizzare, scegliere. Avere cura del proprio cammino, focalizzarsi su ciò che per ognuno di noi è davvero importante senza disperdere energie in cose di cui in fondo non ci interessa nulla. Afferrare le possibilità, costruire occasioni, non sprecare tempo a languire. Perché se c’è l’essenziale, ciò che nutre il cuore di ciò che siamo, non c’è prigionia, non c’è rinuncia, non c’è Lockdown che possa buttarci realmente al tappeto. Occorre ripensare a molte cose: e per farlo c’è tutto il 2021. Forza! Marcia ingranata, avanti tutta!

Grazie per tutto ciò che in questo anno ho avuto.

Xmery