A mia moglie.
(Umberto Saba – il Canzoniere-1911)
Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
E’ migliore del maschio.
E’ come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così, se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
è così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui priva
in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere:
questo che a me, che mi sentiva
ed era vecchio, annunciavi
un’altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia*
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.
* la pecchia (‘ape’ in alcune regioni italiane) in linguaggio comune significa anche ragazza molto carina (e qui potrebbe alludere a un complimento alla vecchia moglie) o addirittura volgarmente ‘vagina’ (che potrebbe ancora significare che seppur nell’anzianità, nell’atto d’amore, che li accomuna a tutti gli altri animali sereni e senza malizia, “che avvicinano a Dio” per il loro sereno candore, è lì che lui ritrova l’amore – unico e non barattabile con quello di altre donne- per la sua vecchia sposa. In lei e in nessun’altra. Questo è il fulcro di questa poesia, che volge a rassicurare la moglie gelosa. Le dice che nessun’altra è misurabile con il suo metro, le dice che solo per il fatto di essere donne umane, non hanno in partenza i requisiti 😀 per essere paragonabili a lei! E così, ciò che a prima vista può sembrare un goffo e mal riuscito tentativo di compiacere (essere paragonati a una pollastra o a una giumenta può anche essere irritante!..:-D ) diventa la più spettacolare e geniale rassicurazione per una donna gelosa, che sicuramente alla fine avrà sorriso di tutto questo marchingegno letterario, che nient’altro vuole dire se non “tranquilla, amore mio, nessun’altra donna potrà mai ai miei occhi essere anche solo paragonata a te”. E non è male, in una società dove anche il maschio più fedele, di diritto, per convenzione culturale, vive di paragoni con qualsiasi donna che si palesi nel raggio d’azione del suo campo visivo! E, se sei ‘fortunata’ il confronto si conclude con “No, ma sei molto meglio tu!”….Ahahahah…. Che tristezza, forse a questo punto (per quanto con un po’ di riluttanza! :-D) preferirei davvero essere paragonata “alle femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio”…. 😀
Il mondo Orosognante
Xmery.