Non mi è piaciuto, questo film: troppo lento, troppo vuoto nel ritmo degli accadimenti e senza una tensione tale da giustificarne lo scorrere così piatto.
Le atmosfere cupe del bunker che contornano (quasi) tutta la vicenda, le luci inquietanti dei neon intermittenti degli ambienti, che si accendono e spengono ad ogni passaggio, come unica cornice entro cui si svolge la vita dei protagonisti, la solitudine innaturale vissuta come normale da madre e figlia, non sono tuttavia sufficienti a creare la giusta suspense, solo un lieve malessere e incredulità, che attende indizi ed eventi più pregnanti che non arrivano mai. Anche la presenza della madre robot, il contrasto surreale tra il suo atteggiamento affettuoso e materno, le parole confortanti che di rito rendono una mamma una buona madre, che stridono con la sua voce piatta e artificiale, gli abbracci tra loro che in modo surreale mettono in contatto la carne con il freddo del metallo, non riescono a creare altro che tristezza e molta perplessità in chi guarda. Non allarme, non adrenalina, non il dubbio terrificante, che sarebbero gli unici stati d’animo con cui si può immaginare di stare attaccati allo schermo con uno scorrere così lento delle informazioni.